Ed eccomi nuovamente a raccontare la Garfagnana: dopo la prima parte, che trovate qui all'articolo precedente, eccovi la seconda giornata.
Vi farò conoscere la Banca Regionale del Germoplasma, un avanguardistico e ambizioso progetto portato avanti, ormai da anni, dalla Regione Toscana e dai Coltivatori Custodi.
Parlerò anche di una visita interessantissima: il birrificio “La Petrognola” ci ha aperto le porte del laboratorio, permettendoci di capire le fasi di produzione della birra, anzi delle diverse birre che, come per magica alchimia, vengono create dal geniale Roberto Giannarelli.
Vi porterò poi a pranzo a Giuncugnano, all’agriturismo “Il Grillo”, per degustare piatti innovativi creati con i tipici prodotti della Garfagnana.
Terminerò con la visita al caseificio Marovelli di Vibbiana e con la ricetta della pastiera di grano saraceno, ispirata ad una delle tipicità del territorio garfagnino. Si tratta di una fusion tra la pastiera napoletana di grano, che trovate qui nella sezione dolci, e le crostate con cereali cotti e che ho scoperto e assaggiato in Garfagnana.
L’allegria e l’impazienza di affrontare una nuova giornata alla scoperta della Garfagnana, si percepiscono già a colazione. Chiacchiere sparse, tanti sorrisi, la curiosità da parte mia di conoscere meglio i miei colleghi.
La prima tappa è al “Centro La Piana” a Camporgiano, un vivaio che ospita un vero tesoro, la Banca Regionale del Germoplasma. Qui ho trovato la conferma alle mie convinzioni riguardo ai semi, alla biodiversità, alla cura del terreno e delle piante, all’uso di prodotti del proprio territorio.
Chi mi conosce e ha avuto modo di leggere altri articoli di questo blog, sa con quanta determinazione da anni io sia alla ricerca di prodotti al di fuori dei circuiti commerciali. La passione che ho per la panificazione mi spinge a “scovare” piccoli mugnai e piccoli molini, in genere ereditati da diverse generazioni. E questo vale anche per gli ingredienti di uso quotidiano nella mia cucina.
Non è solo l’aspetto sentimentale e idealistico che mi interessa, e nient’affatto quello folcloristico. Sono attirata dalla passione che spinge i piccoli artigiani e agricoltori a continuare un lavoro faticoso e per niente semplice, a non allinearsi alle facili produzioni standardizzate, a non cedere alle lusinghe economiche del mercato massificato, a cercare di ottenere una produzione di qualità, onesta, con il giusto prezzo.
Ci accoglie, presso il Centro La Piana, la dott.ssa Fabiana Fiorani, la quale ci mostra prima i campi con le specie e le cultivar vegetali recuperate e coltivate, poi i locali dove i semi, assolutamente non vendibili, vengono opportunamente scelti e catalogati, e poi conservati in apposite celle frigorifere, per preservarne inalterato il corredo genetico. Il circuito locale chiuso e controllato, garantisce l’assenza di contaminazione.
Negli anni la Banca si è arricchita di tante varietà, con semi recuperati con la collaborazione di tutti, persino dei bambini nelle scuole. Il grande lavoro, di tipo più scientifico, di decodifica del genoma dei semi e individuazione della specie e della varietà, è stato effettuato dall’Università di Pisa. Un lavoro lungo e laborioso.
Mi colpisce il campo di meli e peri, i cui frutti stanno giungendo a maturazione, un tripudio di forme e colori. Ma anche le viti e gli ortaggi sono numerosi. Assaggiamo qualche mela o pera di diverse varietà, mela casciana, lucchese, belfiore, biancona… pera figura, zucchero, verdina… ne valutiamo le differenze, poi ne cogliamo un po’ e le portiamo via in grosse ceste. Gesti semplici, che però ci riempiono di soddisfazione.
Gli alberi da frutto non sono ingabbiati, costretti a svilupparsi disposti in filari stretti e potati bassi, come nelle grandi produzioni destinate alla commercializzazione di massa. Ogni albero è lasciato libero di alzarsi e la sua chioma può svilupparsi armonicamente. La potatura è moderata e rispettosa della pianta. D’altronde anche la potatura è un’arte, come l’innesto, e i “coltivatori custodi” hanno competenza e professionalità da vendere, oltre che amore e passione.
Già, i “coltivatori custodi”, un termine evocativo, gli “angeli custodi” dei semi. Non posso fare a meno di pensare alla battaglia condotta da Vandana Shiva per strappare alla Monsanto e ad altre multinazionali il monopolio dei semi. E qui in Garfagnana questo argomento è vincente, sono avanti anni luce, tutti si rendono conto che questo progetto crea ricchezza ed è un investimento per il futuro e per le nuove generazioni.
Complimenti popolo della Garfagnana, ho grande ammirazione per voi! Vorrei tanto che la mia regione meditasse su quanto ho esposto finora, che realizzasse un briciolo di quanto voi avete realizzato.
La dott.ssa Fiorani ci conduce dal marito, che è uno dei tanti “coltivatori custodi”; mostrandoci il frutteto, ci confessa di aver convinto il marito a preservare il seme del “melo morto”, un melo non eccezionale dal punto di vista estetico, che porta frutti piccoli e brutti! Eppure anche quello va coltivato. La biodiversità innanzitutto va salvaguardata.
E’ ora di andare a visitare il birrificio artigianale “La Petrognola”, un’eccellenza che ha conquistato pian piano prestigiose nicchie di mercato e meritati premi.
Roberto Giannarelli ci ha creduto davvero nel suo sogno, riuscendo a trasformarlo in lavoro, che crea altro lavoro e benessere. E’ partito da un piccolo laboratorio quasi casalingo per arrivare ad un grande laboratorio moderno ed attrezzato in tutte le sue parti. Anche lui valorizza il prodotto della sua terra, il farro, per fare birre.
Ci chiede gentilmente di coprirci con guanti, cuffie, copri scarpe e camici, per prevenire ogni rischio di contaminazione da batteri e lieviti che risiedono dappertutto, sulle piante, sulla frutta, nel terreno.
Non sono un’intenditrice di birra, ma quando Roberto ha iniziato a spiegare il processo di produzione, ho inteso un linguaggio familiare: fermentazione aerobica o anaerobica, lieviti, batteri, amilasi, proteasi, temperature… ma la birra è un pane liquido? Forse sì!
Ecco cosa mi entusiasma, la possibilità di creare, con tre o quattro ingredienti, centinaia di birre diverse. E’ così, come col pane, si gioca sulle temperatura e sulla calibratura di malto (più o meno tostato), acqua, lieviti e luppolo.
Per produrre la birra si parte dalla trasformazione dell’orzo (o anche altri cereali), in malto, attraverso la germinazione dei chicchi e la successiva tostatura. E’ l’unica fase che manca al birrificio “La Petrognola”, per ora.
Si passa alla macinazione, e Roberto ci mostra il nuovissimo molino che gli permette finalmente di macinare i cereali in loco, per passarli poi direttamente alla bollitura, anzi sarebbe meglio definirlo riscaldamento, visto che le temperature sono inferiori alla bollitura.
L’attivazione e la disattivazione degli enzimi che trasformano amidi e proteine (amilasi e proteasi), producendo CO2, gioca proprio su innalzamento e abbattimento delle temperature. L’introduzione del luppolo è fondamentale per il conferimento del gusto più o meno amaro e del bouquet aromatico caratterizzante. Successivi filtraggi e centrifugazioni, fermentazioni e riposo, ricalibratura di lieviti e zucchero, fanno il resto.
Ma non voglio annoiarvi con particolari tecnici, mi interessa però sottolineare come tecnica e creatività siano, oltre quelli citati sopra, gli ingredienti indispensabili per “inventare” una nuova birra, e Roberto, con soddisfazione, ce lo conferma, raccontandoci i suoi momenti d’ispirazione e calcolo, in solitudine a tavolino davanti a un computer.
Ci fa assaggiare una nuova creatura, per il momento ancora troppo amara e poco spumeggiante, in quanto necessita di ulteriore riposo dopo l’imbottigliamento. All’olfatto è riconoscibile frutta esotica, così intensa che sembra essere stata introdotta direttamente nel liquido, incredibile…
E’ stata una bella scoperta per me, un campo che mai prima d’ora avevo approfondito.
Il tempo è tiranno, dobbiamo correre a pranzo presso l’Azienda Agrituristica “Il Grillo”.
Un pranzo ineccepibile nella forma, e allo stesso tempo gustosissimo, grazie all’uso dei prodotti tipici del territorio. E’ questa la formula vincente dello chef, inventore di rivisitazioni di piatti tradizionali: per antipasto tris di farro, con insalatina tiepida, quiche e arancino, poi il primo, tagliatelle di farro e ortica con ragù di rosmarino, salsiccia e pecorino.
Eccoci a tavola a gustare il pranzo!
Anche qui abbiamo la possibilità di acquistare conserve, pasta, miele, cereali e farine.
Dopo la piacevolissima pausa pranzo, che aiuta come sempre nella socializzazione, ci dirigiamo al Caseificio Marovelli di Vibbiano, una piccola azienda che produce una quantità limitata di formaggi caratteristici della zona, come il primosale con i fiori, il “baggiolo”, simile al brie, gli stagionati (pecorino e misto), tradizionali o aromatizzati con mosto o foglie di castagno.
Magnifico lo yogurt che ci fanno assaggiare, preparato come un dessert.
E con l’ottima cena in hotel termina anche questa seconda, intensa giornata alla scoperta della Garfagnana.
Ed ecco ora la ricetta della pastiera di grano saraceno, una calibratura che è riuscita al primo tentativo, non solo a mio parere, ma dopo gli assaggi da parte della mia famiglia e degli amici.
Ho preparato questa pastiera per il compleanno di mio figlio, 30 anni, un traguardo importante e che mi provoca un turbinio di emozioni diversissime tra loro, che non vi posso desrivere… altrimenti vi annoierei!
Passiamo dal poetico al prosaico, gli ingredienti della pastiera. Per la pasta frolla potete tranquillamente dimezzare le dosi, io ne ho fatta in abbondanza per preparare anche dei buonissimi frollini, semplici o ripieni.
Ingredienti della pasta frolla
- 500 grammi di farina integrale di grano saraceno
- 500 gr farina di frumento tipo 0
- 450 gr di burro
- 200 gr zucchero panela
- 200 gr zucchero bianco
- 100 grammi di uova intere (2 uova di media grandezza)
- 80 grammi di tuorli (4 di media grandezza)
- 7 gr di sale
Ingredienti per il ripieno
- 200 gr di grano saraceno decorticato
- 300 gr di acqua
- 250 grammi di latte
- 200 grammi di zucchero panela
- 400 grammi di ricotta
- 600 grammi di crema pasticcera
- 180 grammi di uova (3 uova grandi o 4 piccole)
- una bacca di vaniglia
- la scorza di un limone
- cannella macinata e non macinata, qb
- marmellata di frutti rossi qb (facoltativo)
- sale qb
- un cucchiaio di zucchero panela (in aggiunta a quello già previsto)
Conviene preparare la frolla il giorno prima, assieme all'ammollo del grano saraceno decorticato.
Portate a bollore l’acqua, versatela sul grano saraceno e lasciate a bagno per un giorno, mettendolo in frigo appena freddo.
Preparate la frolla o a mano, col classico metodo della fontana, o in planetaria, partendo dal secco ( farine mescolate e setacciate, zucchero, sale), sabbiando con il burro e impastando con le uova.
Per una spiegazione più dettagliata della frolla, vi rimando alla crostata frangipane all’amarena.
Il giorno successivo riprendete il grano saraceno, che nel frattempo avrà completamente assorbito l’acqua, e fatelo bollire nel latte, aggiungendo un pizzico di sale, un cucchiaio di zucchero panela, scorza di limone grattugiata, un pezzetto di cannella e una bacca di vaniglia. Lasciate cuocere lentamente fino a che il latte non si addensi diventando quasi cremoso.
Recuperate i semi della vaniglia, aggiungendoli al grano cotto, eliminate la scorza di limone e i pezzi di cannella. Fate raffreddare.
Ora preparate una crema pasticcera ricca, seguendo la ricetta riportata qui, nella torta “Quadro d’autunno”. Fate raffreddare.
Mescolate ora la ricotta con 200 grammi di zucchero panela e passatela al setaccio.
Aggiungete i tuorli delle 3 uova (mettendo da parte gli albumi), il grano cotto, la crema pasticcera e una punta di cannella in polvere.
Con queste dosi di ripienoho preparato quattro pastiere da 20 cm di diametro.
Stendete la frolla e foderate le teglie precedentemente imburrate e infarinate, poi stendete un velo di marmellata di frutti rossi sul fondo, se amate un leggero contrasto acido alla dolcezza e cremosità del ripieno. In caso contrario non usate questo ingrediente. Io ho utilizzato un’ottima marmellata di uva spina prodotta dalla cooperativa, se avessi saputo ne avrei comprata di più!
Montate ora gli albumi a neve ferma e amalgamateli al ripieno con delicatezza.
Riempite le teglie, fermandovi a qualche millimetro dal bordo.
Tagliate le listarelle di frolla e intrecciatele sul ripieno.
Infornate a 180° per 45 minuti.
Spero che abbiate gradito sia la ricetta sia il mio racconto, vi aspetto al prossimo articolo, la terza e ultima giornata, con una romantica conclusione e una nuova ricetta!
Commenti
ho imparato tanto.
Un caro saluto a te e famiglia!
Un bacio grande, spero di rivederti presto
Un caro saluto
Dipende dai gusti.
Grazie per la tua visita!
In questa mia latitanza dal blog dell'ultimo periodo, mi sono persa un mucchio di belle cose, compresi i tuoi ultimi post.
Molto, molto interessante e una bellissima iniziativa della nostra grande Associazione.
Brava Maria Teresa.
A presto e buona serata
Tiziana
Ti ringrazio per gli apprezzamenti!
Bacione
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